Il contratto di compartecipazione rappresenta una forma di esercizio congiunto dell’attività agraria e prevede che due soggetti si accordino per utilizzare i propri fattori produttivi per svolgere una coltivazione a carattere stagionale. Si tratta, pertanto, di un contratto di natura associativa con il quale una parte (che chiamiamo “concedente”) mette a disposizione il fondo per coltivarlo insieme ad un altro imprenditore (detto invece “compartecipante”) al fine di dividere i prodotti ottenuti. Prevale, quindi, l’elemento di cogestione dell’attività rispetto alla pura prestazione lavorativa.
Il compartecipante sopporta insieme al concedente i rischi dell’attività, realizzando congiuntamente a questi una vera e propria impresa comune, pur se limitata a specifiche e temporanee colture stagionali.
Affinché il contratto di compartecipazione possa essere validamente stipulato e possa produrre gli effetti voluti dalle parti, è necessario rispettare alcuni importanti requisiti.
Innanzitutto, entrambi i contraenti devono essere imprenditori agricoli, altrimenti si configurerebbe un contratto di altra natura. È necessario, infatti, che ciascuno dei contraenti svolga l’attività agricola anche in maniera autonoma. In più, il contratto deve riguardare una singola coltura stagionale e non, invece, la generica coltivazione di un determinato appezzamento di terreno. L’inizio del contratto, infatti, coincide di solito con la messa a disposizione del terreno al compartecipante e il contratto rimarrà in essere fino all’ultimazione delle lavorazioni necessarie, in genere fino la raccolta del prodotto. Pertanto, i termini di riferimento non sono rappresentati dall’annata agraria, ma quelli propri del ciclo colturale del prodotto stagionale oggetto della coltivazione.
La ripartizione del prodotto a titolo originario dovrà, quindi, essere proporzionata all’apporto effettivo di ciascuna parte alla conduzione associata del fondo. Tuttavia, le parti possono liberamente definire i criteri di ripartizione del prodotto ottenuto. Si deve però escludere la possibilità di definire dei compensi fissi e predeterminati. E, soprattutto, l’apporto del compartecipato non deve essere inferiore al 20% e conseguentemente l’apporto del compartecipante superiore all’80%: precisato che sono già percentuali di apporto al limite, il rischio è che il contratto di compartecipazione venga riconosciuto come un contratto di fitto simulato, con tutte le conseguenze che ne derivano ovvero in un rapporto di lavoro subordinato/dipendente.
Le percentuali indicate nel contratto potranno essere modificate, a consuntivo, su accordo di entrambi le parti in base agli andamenti stagionali, ai risultati produttivi e al prezzo finale del prodotto, fermo restando il principio della condivisione del rischio imprenditoriale. In questi casi, è opportuno stipulare un’appendice al contratto originario, dandogli data certa ovvero, ancora meglio, registrandolo in agenzia delle entrate.
Se le parti si accordano affinché il prodotto sia integralmente ceduto dal compartecipante, il prodotto sarà venduto dal compartecipante che emetterà una fattura a proprio nome per l’intera produzione nei confronti del proprio cliente e provvederà a liquidare all’altra parte la quota di spettanza in danaro che, conseguentemente, emetterà una ricevuta, in quanto l’operazione è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA (ex art. 2 del D.P.R. 633/1972).
Nel caso in cui i terreni messi a disposizione per la coltivazione siano stati acquisiti con le agevolazioni previste per la piccola proprietà contadina, si ritiene che il contratto di compartecipazione, avendo natura associativa, non determini la decadenza dei benefici.
La compartecipazione permette di fare rientrare le produzioni ottenute nella determinazione del reddito su base catastale. La natura associativa del contratto impone la ripartizione del reddito agrario ai sensi del comma 2, art. 33 del TUIR, pertanto, la sottoscrizione del contratto effettuata dalle parti permette di fissare la quota di reddito da ripartire e conseguentemente la quota che le stesse dovranno indicare nella propria dichiarazione dei redditi.
Pertanto, sebbene non obbligatorio, è consigliabile che il contratto di compartecipazione agraria sia essere redatto in forma scritta per ragioni fiscali. Infatti, l’art. 33 del TUIR afferma che alle parti si imputano la quota di reddito agrario in base alle percentuali previste dal contratto. Qualora al concedente venisse imputata una percentuale di riparto troppo bassa si rischia di fronte al fisco di simulare un contratto di affitto ovvero un rapporto di lavoro subordinato/dipendente. Di contro in mancanza di un contratto scritto, si presume una divisione dei frutti in parti uguali. Infine, sebbene non sia obbligatoria, la registrazione in Agenzia delle Entrate è fortemente consigliata. Diversamente è necessario dare, al contratto, una data certa mediante timbro postale oppure riportare in calce la firma di un sindacato o altra associazione di categoria.
Il contratto di compartecipazione stagionale avrà inizio alla sottoscrizione del medesimo e terminerà alla raccolta del prodotto, senza possibilità di ulteriori proroghe in quanto, visto l’art. 56 legge 203/1982, è espressamente sottratto al regime dei contratti agrari tipici, della durata minima di 15 anni inderogabile. Stante la natura del suddetto contratto, non è applicabile l’istituto della disdetta e si intende non rinnovabile tacitamente alla sua scadenza; pertanto, eventuali successivi accordi di coltivazione potranno essere raggiunti indipendentemente da quello pregresso, in regime di completa autonomia.
Per l’aggiornamento del Fascicolo CAA, obbligatorio per entrambi i contraenti, il compartecipato dovrà indicare in Anagrafe SIAN di essere la parte denominata “Compartecipazione con conduzione”, mentre il compartecipante dovrà indicare in medesima anagrafe di essere la parte denominata “Compartecipazione senza conduzione”, con riferimento ai mappali sopra descritti e oggetto della presente compartecipazione agraria.